Rita Atria, la settima vittima di via D’Amelio

“Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta.”

Sono parole di Rita Atria, che qualche giorno dopo la morte di Paolo Borsellino – avvenuta il 19 luglio 1992 – fa una scelta estrema: è il 26 luglio quando si lancia dal settimo piano di un palazzo a Roma, togliendosi la vita per il dolore. Ha solo 17 anni.

Testimone di giustizia, costretta a vivere sotto falso nome, isolata dal resto del mondo, era depressa e scoraggiata rispetto all’efficacia della sua scelta.

La storia di Rita Atria

Figlia del boss mafioso Vito Atria, ucciso per un regolamento di conti, Rita aveva deciso di collaborare con la giustizia seguendo l’esempio della cognata, ma per molti – compresa la sua stessa famiglia – mantenere legami con chi aveva rotto il muro dell’omertà avrebbe rappresentato un disonore. Dopo la morte del padre e del fratello, il rifiuto della madre e della sorella e l’abbandono da parte del fidanzato, nel 1991 aveva incontrato Paolo Borsellino.

Si era legata a lui come a un secondo padre, ma con la sua morte se ne erano andate le sue ultime speranze. Da lì la decisione di togliersi la vita.

Chi ha ucciso Borsellino e la sua scorta (Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, che giustamente oggi ricordiamo), non ha ucciso solo loro. Rita Atria è una vittima indiretta di quella strage, la settimana vittima.

Ma la memoria che oggi onoriamo e l’impegno che ci ripromettiamo, tiene vive le loro idee e i loro sogni di giustizia. Che sono anche i nostri e di cui dovremmo ricordarci ogni giorno, non solo il 19 luglio, il 21 marzo (Giornata della memoria e dell’impegno) o il 23 maggio (giornata in cui si ricorda la strage di Capaci, quando oltre al giudice Giovanni Falcone furono uccisi la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro). 

Su questo mio blog ho scritto anche di Lea Garofalo, perché delle donne ci ricordiamo sempre troppo poco. Trovi l’articolo qui, alla voce Storie.

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