Qualche tempo fa, nel corso di una ricerca nell’Archivio storico del Comune di Sassuolo, un foglio fittamente dattiloscritto risalente al tempo della Seconda guerra mondiale ha attirato la mia attenzione… Ne è nata una storia che ho raccontato partendo dai documenti e da ciò che conosco di quel periodo storico nella città in cui vivo. Non è una storia “vera” in tutto e per tutto: ci ho messo un pizzico di immaginazione immedesimandomi nella protagonista. Vedi un po’ se ti piace! Se hai voglia di lasciarmi un commento sarò felice di leggerlo.
Marisa e la vita quotidiana a Sassuolo in tempo di guerra
Marisa [nome di fantasia] non si è mai sposata. Molto legata alla famiglia d’origine, ha condotto una vita semplice, senza mai allontanarsi dal paese dove è nata: Sassuolo. Ora che è anziana, vive aiutata dalla sorella Rosaria [nome di fantasia], che le permette di abitare in un piccolo appartamento di sua proprietà, al terzo piano di via Italo Balbo [attuale via Cavallotti, nella sua parte più a sud]. Oggi lo chiameremmo “bilocale”: una camera da letto e la cucina. Marisa non appartiene certo alle classi agiate, ma qui ha tutto quello che le serve. La sua vita quotidiana trascorre, come quella di tante altre donne anziane, tra la messa, qualche lavoro di cucito, il tempo passato con la sorella. Da quando la sorella è rimasta vedova, passano ancora più tempo insieme. In tempi straordinari come quelli imposti dalla guerra, tra lutti e privazioni, i legami familiari si stringono ancora di più.
Da diversi mesi ormai la preoccupazione e le preghiere non sono più solo per chi è partito per il fronte: ora la guerra bussa alle porte. Come in quella della gran parte dei sassolesi, è vivo nella memoria di Marisa il ricordo di quella mattina del 9 settembre 1943, quando l’avevano svegliata i colpi di cannone sparati davanti al Palazzo Ducale, a 500 metri da casa sua. Pensava che non avrebbe mai più provato una paura così, ma non era che l’inizio. Dopo l’8 settembre e l’annuncio della firma dell’armistizio, i passaggi degli aerei si erano intensificati e da un momento all’altro ci si aspettava che venisse colpita anche Sassuolo. Era toccato prima a Modena, nel febbraio 1944. Qualcuno le aveva detto che quando sarebbe successo a Sassuolo, gli Alleati avrebbero sicuramente cercato di colpire il ponte della Veggia o la ferrovia, non il centro del paese. Si poteva stare abbastanza tranquilli, quindi. Era tranquilla? No, con il passare dei mesi era diventato invece sempre più chiaro che gli sganci dagli aerei non erano poi così precisi, tanto che a maggio i bombardamenti avevano quasi distrutto il Duomo di Modena. Se neanche la casa del Signore era al sicuro, come poteva esserlo lei?
Alla fine era toccata anche a Sassuolo. Si temevano i bombardamenti e i mitragliamenti aerei, invece era capitato qualcosa di inaspettato: nel pomeriggio del 5 luglio un aereo era precipitato vicinissimo a casa sua, sulla casa dei fratelli Rubbiani, proprio lì, in via Italo Balbo. Un aereo tedesco, così aveva sentito dire [non lo era, ma quella fu la voce che si diffuse in paese]. Aveva distrutto il tetto e parte dei muri. Il pilota era morto. Solo lui, però. Fortunatamente Marisa non era in casa in quel momento, ma il paesaggio che le era apparso davanti agli occhi al suo rientro era terribile. Le macerie erano precipitate sulla strada e anche i fabbricati attorno erano rimasti danneggiati. Alla tipografia Paoli, poi, era andato distrutto quasi tutto.
Da quel giorno di luglio le incursioni aeree si erano susseguite a tutte le ore e, per la verità, più spesso di giorno che di notte. Non c’era settimana quasi che venisse risparmiata. Ed era cominciata anche la conta dei morti per i mitragliamenti. Così la vita quotidiana a Sassuolo era diventata sempre più difficile.
La gran parte delle volte le incursioni colpivano la zona tra Borgo Venezia e Braida, vicino al ponte e alle linee ferroviarie, come ci si era immaginati, ma… non si poteva mai stare davvero tranquilli. La sera del 31 luglio erano state colpite proprio le case del centro: 5 bombe tra la piazza grande e via Lea, praticamente a due passi da casa sua. Nessun morto, per fortuna, ma il bombardamento aveva distrutto parecchie case, in particolare in vicolo Mole.

Dove avrebbe colpito il prossimo bombardamento? Quando il Campanone dava l’allarme, suonando a stormo o con apposite sirene, si poteva sempre sperare di fare in tempo a rifugiarsi nelle cantine, ma non era semplice per una donna della sua età, sola, con quello spavento, scendere 3 piani di scale. Di notte poi… ormai non si era più sicuri di svegliarsi la mattina dopo. “Un giorno ci sveglieremo che saremo tutti morti” diceva qualcuno a Borgo Venezia. Lei almeno aveva la cantina, ma non avevano tutti la stessa fortuna. C’era chi, di notte, doveva uscire in strada per correre nel grande rifugio del Palazzo Ducale o in quelli privati, contravvenendo così alle norme sul coprifuoco.
Quelle che una volta sembravano solo misure precauzionali, comprensibili in tempo di guerra, ma inutili per tanti mesi, ora avevano tutto un altro significato. Marisa era sempre stata molto scrupolosa nell’osservare le norme del coprifuoco e dell’oscuramento e si era sempre addormentata tutto sommato facilmente, affidandosi a Dio nella preghiera serale. Ma dopo luglio, con il pericolo sempre più vicino, con gli aerei che giravano tutta la notte, questo non la tranquillizzava più. Per di più aveva sentito dire che c’era qualcuno che non rispettava l’oscuramento. Gli avevano dato la multa. Avevano fatto bene: l’avventatezza di uno metteva a rischio la vita di tutti! Certo, capiva che poteva capitare di doversi muovere in casa con il buio e che non era facile evitare ogni fuoriuscita di luce. Lei stessa aveva dovuto prendere qualche precauzione in più: quando le capitava ad esempio di doversi alzare di notte per qualche bisogno, non accendeva la luce elettrica, ma si serviva di una candela, dalla luce molto più debole. In questo modo evitava che la luce filtrasse all’esterno, dalle persiane.

Intanto, mese dopo mese, il paese si era riempito sempre più di profughi e sinistrati. Centinaia di persone che scappavano dalla guerra, famiglie rimaste senza casa, qualcuna anche di Sassuolo. Non si sapeva bene dove metterle e molte avevano trovato una sistemazione nelle scuole lungo il viale XX settembre. Si diceva che l’alberatura di quel bel viale avrebbe protetto le persone dalle incursioni e per questo motivo, nonostante la penuria di legna, era stato proibito tagliarla. Chissà se era vero! E così era arrivato l’autunno.
Una “imprevidenza” fatale
È il 9 novembre quando la conta dei morti per mitragliamento sale a 18. Senza contare i numerosi feriti! Marisa ha passato i 70 e si chiede se vedrà mai la fine di questa guerra. La notte tra il 12 e il 13 non chiude occhio. È passata da poco la mezzanotte quando suona la sirena e poi ecco il fragore di nuovi bombardamenti. Dove avranno colpito questa volta? Il giorno dopo, ai vespri in San Giorgio ne parla con le altre donne e viene a sapere che è stata colpita Braida, senza morti grazie a Dio!

La giornata del 13 e poi quella del 14 novembre trascorrono tranquille. Nel corso della notte, però, qualcosa turba il sonno dei sassolesi. Nessun allarme, nessun bombardamento questa volta, ma un odore di fumo che si diffonde per le vie del centro. In particolare tra via Italo Balbo e via Fenuzzi. Qualcuno scende in strada, sfida il coprifuoco e decide di andare a vedere cosa succede. Sono due uomini di mezza età: un daziere e un calzolaio. Non è difficile seguire la scia di fumo e capire da dove viene: filtra dalle finestre di un’abitazione al terzo piano di via Balbo, dove si è sviluppato un incendio. Il portone del caseggiato è sempre aperto e i due uomini entrano facilmente. La porta che immette all’appartamento al terzo piano, quello di Marisa, è invece chiusa a chiave. I due riescono a sfondarla e a spegnere l’incendio, ma ormai è tardi. La poveretta viene trovata morta ai piedi del letto.
Come stabilirà il medico, Marisa è morta per asfissia. L’incendio ha distrutto completamente il divano a fianco del letto e ha bruciato parte del cassettone dove conservava gli indumenti, in gran parte di lana. Il fumo non le ha lasciato scampo. Forse le sarà inavvertitamente caduto sul divano il fiammifero usato per accendere la candela che quella notte le era servita per poter dare sfogo a un bisogno corporale. Il fiammifero, non spento bene, potrebbe essere stato all’origine di un lento incendio. Se ne deve essere accorta troppo tardi, quando i sintomi dell’asfissia non le hanno permesso di uscire e salvarsi. Questo almeno è quanto ricostruisce il capo guardia municipale in seguito alla denuncia arrivata la mattina del 15 novembre 1944 e al sopralluogo effettuato immediatamente dopo.
Facciamoci costruttori di pace
Marisa non aveva nemici, ma non viveva in tempi facili. La sua prudenza, purtroppo, ha finito per esserle fatale. La sua storia ci racconta che calcolare davvero i numeri dei morti in un conflitto è impossibile. Le guerre rendono difficile e pericolosa la vita quotidiana: la carenza di cibo e medicine, di cure sanitarie, di acqua potabile, di condizioni igieniche dignitose, ma anche l’ansia e i lutti mettono a repentaglio la salute, fisica e mentale, delle persone, fino a renderne impossibile la sopravvivenza, in tanti modi. Chi vive una guerra, ne porta i traumi a lungo, in molti casi per sempre. Spesso, durante o al termine di una guerra, ci si limita a indicare il numero di coloro che sono morti per cause “dirette”. Se va bene, si aggiungono i feriti e gli invalidi di guerra. Difficilmente ci si sofferma, anche solo col pensiero, sulle vedove, sugli orfani, sui traumatizzati e su tutti i morti per cause “indirette”. La storia di Marisa mi ha colpito per quello: nella sua semplicità ci ricorda una volta di più quale tragedia siano le guerre e l’impegno, di cui ciascuno di noi deve farsi carico, per essere costruttore di pace, ogni giorno. Questo racconto ha quello scopo.
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